La Grande Tragedia del Terremoto
Il primo ventennio del XX secolo per i castellucciani fu segnato da un tragico evento. Il 13 gennaio 1915, infatti, alle ore 7,50 circa, una violenta scossa di terremoto, che raggiunse all'epicentro l'11° grado della scala Mercalli, ebbe ripercussioni gravissime nella regione Marsicana, nella Valle Roveto e nella nostra Valle del Liri. Per la vastità dell'area di risentimento, per l'ingente numero delle vittime e dei feriti dei centri abitati distrutti, questo sisma si colloca tra i più violenti della storia sismica italiana a memoria d'uomo. Nella Cronaca di Casamari1, preziosissima fonte storica locale di questi eventi, a proposito di questo terribile giorno e di quelli che seguirono, leggiamo:
«13 gennaio. Stamane verso le otto meno dieci minuti si è sentita una fortissima scossa di terremoto quasi vorticoso della durata di quasi un sessanta secondi: sussultorio prima e poi ondulatorio. Lo spavento in tutti prodotto è stato enorme. Giacche una simile scossa non si era mai sentita […]
[…] dopo la scossa essendosi risaputo che nei dintorni vi erano vittime, parecchi religiosi si sono diramati in vari punti per prestare il loro soccorso spirituale ed anche materiale se fosse stato d'uopo. Si è poi osservato come molte case coloniche sono addirittura crollate; ma nessuna vittima tra i coloni di Casamari: solo pochi feriti. Castelluccio raso al suolo con moltissime vittime […]
Nei dintorni è Castelliri che ha più sofferto, poiché se pure qualche casa e rimasta in piedi essa minaccia continuamente di cadere per le gravi lesioni. Molte sono le vittime. molti i feriti, tutti senza tetto. Parecchi di noi ci sono stati oggi stesso, se a caso avessero potuto arrecarvi qualche soccorso. Per via non si vede altro che un esodo continuo e tutti piangendo e singhiozzando e quasi inebetiti. Tra quelle macerie e una scena straziante. Noi stessi abbiamo estratto dalla Chiesa diroccata la SS. Eucarestia e l'abbiamo trasferita nella chiesa di S. Rocco sita sulla via sotto Castellini, anch'essa tutta lesionata. Oggi stesso Casamari ha spedito a Castelliri qualche soccorso materiale: liquori, cordiali, pane e vino e medicine: poca cosa in verità rispetto alla moltitudine dei bisognosi. In seguito manderà altro pane. Ai coloni ha pure somministrato soccorsi in cibarie e materiale per le capanne. In seguito darà loro anche dei panni. Il terremoto stavolta è stato veramente disastroso in tutto il senso della parola: L'epicentro sono gli Abruzzi e precisamente la Marsica; e da Sulmona a Frosinone, da Aquila a Roma e specialmente nella conca del Fucino la più parte dei paesi sono rasi al suolo: cosi annunciano i giornali pubblicati oggi stesso in numero straordinario […]».
Durante quella giornata e nelle successive si ripeterono altre scosse più o meno sensibili. che tenevano la gente in un continuo stato di angosciosa trepidazione, gettandola sempre più nello sconforto e nella disperazione. Nella Cronaca di Casamari, infatti, alla data 18 gennaio il cronista annota:
«Le scosse di terremoto più o meno percettibili continuano. […] Noto, inoltre, a titolo di cronaca, come nei dintorni tutti o quasi passano il tempo, e precisamente la notte nelle capanne in aperta campagna. Non mai forse si e vissuti in un più angoscioso e duraturo panico: par sempre di sentire un nuovo terremoto; e un'automobile. un veicolo qualsiasi, un rumore qualsiasi basta ad allarmare gravemente, e non pochi tragici aneddoti si sono avverati per questi falsi allarmi […]
Insomma si vive in una continua trepidazione; e la stessa certezza del nulla diventa spesso, nella fantasia esaltata. certezza di un nuovo cataclisma.
Però nei dintorni, a Castelliri, Anitrella, Isola Liri, Sora ecc. le vittime e i danneggiati sono moltissimi. A vederli ora, gli uomini non sembrano più tali: sono tutti trasfigurati, chi col dolore, chi dallo spavento: non si vede più una faccia allegra. non più un sorriso benevolo. non più un saluto amico: tutti col capo chino in preda a profonda mestizia, assolti in gravi inesplicabili pensieri.Parrebbe venuta la fine del mondo. Per questa strada romana e uno straordinario incessante via vai di notte e di giorno di automobili, quasi tutti carichi di vettovaglie, medicinali, ecc. La più parte, dicono, di principi romani e d’altrove, che corrono al soccorso dei poveri disgraziati […]».
Nel territorio lirino, dunque, Castelliri fu il comune più colpito. Un inviato del Giornale d'Ifalia, venuto nel nostro paese subito dopo il sisma scrive:
«[…] la vicina Castelliri è, invece, una specie di cimitero, che contrasta con le sue vicine culture verdeggianti, con la prosperità del suolo mirabilmente lavorato. Dall'altura ove è posto il paesello si riversa nella sottostante collina a scalini tutto lo sfacelo delle case spezzate, slabbrate, che mostrano tutta la intimità domestica, tutti i panni agitantisi al vento come invitanti ad un appello disperato. Castelliri è ammorbata di cadaveri di cui le macerie rigurgitano. A Castelliri, come a Sora, come altrove.
Una squadra romana di soccorso con il barone Fassini, il rag.Micozzi, il dott. Solaroli, il sig. Scherma, i due motociclisti serventi hanno fatto miracoli di attività, di ardimento, di soccorso, Hanno frugato le viscere del suolo, hanno strappato alla morte alcune giovani esistenze, hanno distribuito pane e coperte laddove nessuno era giunto.
Ma ne ho viste così poche di queste squadre di benefattori privati in questo mio angoscioso e fugace pellegrinaggio […] E ne occorrerebbero tante, tante, tante […]»
Tra le squadre di volontari che si vennero formando nei giorni immediatamente successivi al sisma, ricordiamo quella di Ferentino il cui operato tra le macerie di Castelliri è stato immortalato da un articolo pubblicato su La Tribuna di cui riportiamo il testo:
«Faccio seguito ad una mia precedente corrispondenza per illustrare l'opera altamente umanitaria svolta dal Comitato della Croce Rossa di Ferentino, che non appena ebbe sentore della grave sventura che aveva colpito la città di Sora si mosse verso quella località con una squadra di volenterosi giovani capitanata dal conte Stampa, dal dottor Matteo Simone e dal cav. Nino Nardi portando seco dei viveri, dei ristori ed abbondante materiale di medicazione. A Castelliri i volenterosi giovani ebbero la prima visione dell'immane disastro, il paese è quasi tutto raso al suolo e, sino allora, non aveva ricevuto nessun soccorso. I morti non si contano e solo si assiste a scene strazianti dei pochi scampati, i quali vanno in cerca dei loro cari che chiamano con i più dolci nomi. La via Parrocchia è stata la più provata e non si va innanzi senza imbattersi nei cadaveri. I nostri giovani si danno subito all'opera di salvataggio riescono ad estrarre dalle macerie della Chiesa di Santa Salome tre donne e tre bambini, e questi ultimi a nome Mario Mastrini, Giacchino Antonio e Bellisario Teresino. Un posto di medicazione fu subito approntato e li ricevettero le cure più urgenti parecchi feriti, di cui una parte erano stati, nei primi momenti, ed alla meglio, medicati dal locale medico condotto dottor Fariuola.
La squadra, suddivisasi in otto squadre, si dette a percorrere la campagna visitando i resti di ogni casa colonica; in questo triste pellegrinaggio ebbe modo di soccorrere, confortare e medicare molti e molti sventurati. Da un casolare sperduto in un burrone intesero strazianti grida e subito accorsero riuscendo, dopo immane lavoro di escavazione a trarre a salvamento una povera giovane, a cui fu riscontrata dal dottor Simone, frattura alle braccia. Dal conte Stampa e dal signor Guglielmo la poverina fu portata in barella a Castelliri. La nostra squadra, ansiosa di spendere ancora le proprie forze a prò dei colpiti, seguitava in automobile verso Sora ove si mise alla dipendenza delle Compagnie di Sanità Militare e del Comitato regionale della Croce Rossa di Roma, trasportando numerosi feriti sul treno ospedale per Caserta, mentre il dottor Simoni si univa agli ufficiali medici nel visitare gli ammalati, nel selezionare e medicare feriti. Nel pomeriggio faceva ritorno a Castelliri ed in unione al Comitato Romano ripeteva i soccorsi dati nel giorno precedente, occupandosi del trasporto, su di un camion della Croce Rossa di Roma, di quattro feriti gravi. A notte la squadra faceva ritorno a Ferentino tra il compiacimento dell'intera cittadinanza che ha saputo apprezzare, in modo singolare, questo slancio di generoso altruismo».
Ad aggravare la già terribile situazione dei terremotati, il 24 gennaio, si verificò un'abbondante nevicata. Da un articolo scritto a Castelliri all'indomani di questo funesta evento atmosferico e pubblicato sul Giornale d'Italia leggiamo:
«Dal monte delle Scalette la neve è scesa a gelare ancor più i nostri corpi. Iersera poi una scossa sensibilissima fu avvertita con immenso spavento delle donne e dai fanciulli. I soccorsi seguirono ad affluire al Comitato locale diretto dal consigliere comunale Giuseppe D'Arpino e dall'arciprete Coluoci. Ieri abbiamo avuto l'onore di ricevere il Comitato di Torino con a capo il senatore Rossi, sindaco di quella città. Tutti quei buoni signori sono rimasti muti davanti a tanta rovina. L'ingegnere capo del comune di Torino, il comandante dei pompieri e lo stesso senatore Rossi con l'ingegnere del Genio Civile sono di accordo nel ritenere indispensabile la dinamite per spianare quasi tutto ciò che è rimasto in piedi a Castellini. Il prefato Comitato dell’alta Italia ha lasciato subito pane e denaro; ha promesso scarpe per molte persone l'ausilio di otto pompieri per la demolizione dei muri pericolanti. Non meno minifico è con noi il comune di Napoli che ha già terminata una baracca per dieci famiglie ed ha ricoverato in Napoli stessa cento e più persone».
Tra i vari Comitati che si vennero formando in quei tristissimi giorni, per recare aiuto alle comunità terremotate si distinse il Comitato piemontese, i cui rappresentanti il 24 gennaio vennero a Fare un sopralluogo anche nel nostro paese. A proposito di questa visita in un articolo. uscito sul quotidiano La Stampa, leggiamo:
«I componenti del Comitato furono accompagnati dal deputato del Collegio di Sora, onorevole prof. Simoncelli. A Castelliri, primo comune visitato. furono ossequiati dal sindaco, dal parroco, dal prefetto apostolico, il padre comm. D‘Arpino e da una folla di cittadini. Erano, inoltre, mossi incontro agli ospiti da Isola del Liri numerosi cittadini. I componenti il Comitato disposero per una sollecita distribuzione di viveri, promettendo un più largo aiuto non appena sarà giunto il materiale spedito espressamente da Torino in sei vagoni, che a causa dell'ingombro ferroviario della linea Roccasecca Avezzano, non sono giunti a destinazione. Anche l’on. Simoncelli, impietosito da tanto spettacolo di miseria, ha distribuito una discreta somma tra i più bisognosi…»
Il Comitato lanciò un invito alla solidarietà rivolto a tutte le regioni subalpìne al fine di raccogliere indumenti, denaro e quanto necessario al soccorso della popolazione colpita dal sisma. Per non sovrapporsi all'operato di altri comitati, già attivi efficacemente, e per non trascurare di intervenire nei piccoli centri, il sindaco di Torino, il conte Teofilo Rossi, con alcuni membri del Comitato, dopo il suddetto sopralluogo, prescelsero come speciale campo d'azione Isola Liri e Castelliri, Sora, Arpino, Santopadre, Casalvieri e Pescosolido allargandolo fino a Civitella Roveto. Il Comitato in un primo momento si concentrò nel fornire ai terremotati, privati di tutto, mezzi di prima necessità, quali viveri, indumenti, coperte e ricoveri rimediati. In un secondo momento, invece, si predispose un piano di ricostruzione puntuale con l'edificazione di abitazioni di legno, in particolare a Isola Liri e Castelliri. A riguardo la relazione stilata dal Comitato precisa:
«Il Comitato incaricò fin dai primi di febbraio l’ing.cav. Pietro Gambetta che si era distinto in simili opere, durante il terremoto di Messina, di recarsi sui luoghi del terremoto, per costruirvi baracche più solide e più durature di quelle allestite con tutta urgenza dalla squadra dei pompieri. L'ing. Gambetta partì subito con una squadra di operai torinesi e con due assistenti. Furono contemporaneamente inviati carrozzoni di mattoni e di legname, per modo che l'ing. Gambetta, presi in consegna gli attrezzi ed i materiali della squadra dei pompieri, pote tosto mettersi all'opera per la costruzione di baracche in Castelliri, e in Isola Liri, e per aiutare la popolazione del luogo a riattare case, a demolire. riconstruire, ecc, con notevole giovamento per tante famiglie. Nel Comune di Castelliri, che fu quasi interamente distrutto dal terremoto, si sono costruite 87 baracche, in legno verniciato con basamento di muratura, che possono durare molti anni, di cui due speciali e più importanti da donarsi al Comune (una per sede del municipio e l'altra per sede della posta). Le altre sono state assegnate dalla Commissione speciale nominata dal Commissario civile di Sora, comm. De Fabritiis, a cui prese parte il nostro delegato, alle famiglie più bisognose del luogo. in uso gratuito per tutto il 1915: dal 1° gennaio 1916 verrà corrisposto dai concessionari un tenue canone all'Ente cui esse vorranno consegnate in dono, e che provvederà alla loro gestione continuata: permanente. La spesa delle baracche fu di L. 116.360,60… Alle vie di Castelliri e I‘Isola Liri formate dalla baracche vennero dati i nomi di Piemonte, Alessandria. Cuneo, Novara e Torino»
Scosse di terremoto più o meno sensibili si ripeterono per tutto l'anno 1915. Nella Cronaca di Casamari, infatti, alla data 15 febbraio il cronista scrive:
«[…] Scosse di terremoto continuano tuttora a farsi sentire. e qualche volta sono abbastanza forti per destar l'allarme e mettere in panico la popolazione […] Ovunque si ferve la costruzione di case e casette di tavole e capanne di paglia, anche quei che hanno buone le loro case […]»
Il terremoto, inoltre, già di per se evento funestissimo, accadde in un momento buio della storia internazionale. Da pochi mesi, infatti, era scoppiata la guerra tra Francia, Inghilterra e Russia alleate contro l’Austria. L’Italia, fino a questo momento si era mantenuta in una posizione neutrale, ma il 26 aprile 1915, dopo segnate trattative, il nostro paese firmò il cosiddetto Patto di Londra, con cui si impegnava a scendete in guerra di lì ad un mese al fianco delle potenze dell'Intesa (Francia, Inghilterra, Russia) contro l’Austria. Ad appena cinque mesi dalla catastrofe sismica, dunque, l’Italia entrava in guerra. Lo stato di allerta e l'appossimarsi della partenza per il fronte spingevano il Ministero della guerra a sollecitare continuamente il Ministero dell'interno a promuovere il rientro nelle rispettive sedi dei soldati, dislocati nei comuni colpiti dal terremoto.All'inizio di febbraio, dunque, le truppe del genio ripresero la via di casa, seguite, verso la metà del mese, da quelle della sanità. La partenza dei reparti dell’esercito provocò un forte rallentamento delle attività di soccorso alle popolazioni terremotate. La guerra, inoltre, attirò completamente su di se l'attenzione dei politici e pian piano anche sui maggiori giornali nazionali le notizie dei paesi terremotati andarono sempre più rarefacendosi per lasciare il posto ai vari bollettini militari. Anche il nostro paese pagò il suo tributo di uomini nel primo conflitto mondiale. I loro nomi oggi campeggiano, insieme a quelli dei caduti della seconda guerra mondiale, con quelli delle vittime del terremoto sul monumento posto nel cimitero comunale, uniti nella medesima sorte di sventura di quel funesto l9l5. A proposito il cronista di Casamari annota con sgomenta e disarmata umanità:
«L'anno 1915 lascia tremenda memoria di se al mondo per una conflagrazione più che europea, mondiale e peri funesti effetti economici, morali, sociali. Mai a memoria d'uomo, si è vista guerra più terribile di questa ed in cui i più sacrosanti ed inviolabili diritti umanitari: leggi di natura e leggi positive, divine ed umane; leggi internazionali, vengono a tutta possa violate. Si combatte per terra e sotto terra. si combatte per mare e sotto mane, si combatte per aria. Raccapriccianti mezzi di distruzioni: di ogni specie sono stati escogitati e si vanno escogitando dall'umano intelletto e a centinaia e migliaia cadono le vittime per ogni dove. Sì direbbe venuta la fine del mondo secondo l'evangelo. La pace è ormai universalmente desiderata, ma questa, àtanti specialmente i mumi pani tra le nazioni belligeranti, si prevede ahimè, troppo lontana! La Chiesa, sempre sollecita per la salute spirituale dei suoi, immensi e straordinari privilegi ha concesso ai sacerdoti dell'esercito, ai cappellani militari e a tutti i soldati del campo, durante la guerra. Il sommo Pont. Pio X di b.m., che menò vita da santo, in previsione di tanta ruina, morì di dolore: prima vittima di sì orrenda carnefizina; a nulla essendo valsi i suoi sforzi per impedire la guerra. Il regnante Pontefice Benedetto XV ha adottato ogni possibile mezzo per la pace: ma finora, purtroppo, di nuova guerra si parla, ma non di paoc. Mai il mondo ha assistito a una più ignominiosa o cruenta tragedia»